Fonte: Ansa.it
Esportazioni in aumento ma su investimenti pesa rischio politico
Con una popolazione di 77,7 milioni di abitanti e un Pil in crescita lo scorso anno del 4%, la Turchia è il decimo mercato di destinazione dell’export italiano, il primo in Medio Oriente e Nord Africa. L’Italia è, dopo la Germania, il secondo grande esportatore tra i big Ue, con una quota di mercato di oltre il 5%. Ma la Turchia è anche – e soprattutto – un corridoio di transito strategico per il gas e il petrolio in arrivo dall’Asia e dal Medio Oriente in Europa, anche attraverso una rete di gasdotti (di cui fa parte il Blue Stream di Eni e Gazprom) essenziali per l’approvvigionamento energetico del vecchio continente.
Lo scorso anno i prodotti made in Italy venduti nel Paese hanno raggiunto un valore di 10 miliardi di euro, in aumento del 2,8% rispetto al 2014. Le previsioni della Sace per i prossimi anni indicano un incremento costante fino al 2019. L’aumento potenziale è di oltre il 3% l’anno nel triennio 2017-2019, fino a raggiungere un totale di 11,3 miliardi alla fine del periodo.
La meccanica strumentale è il settore guida, seguita dall’industria estrattiva e dai mezzi di trasporto. Le importazioni dalla Turchia in Italia sono invece ammontate lo scorso anno a 6,6 miliardi, in impennata del 15,8% rispetto al 2014.
La Sace indica come settori di opportunità di investimento per le imprese italiane le costruzioni, le infrastrutture, il tessile e l’abbigliamento e la stessa meccanica. Allo stesso tempo però, sono riconosciuti non indifferenti fattori di rischio politico, a partire da quello di guerra e disordini civili (71 su 100), seguito dal trasferimento di capitali e convertibilità (61 su 100) e dall’esproprio e le violazioni contrattuali (49 su 100).
Non a caso, secondo gli analisti, dopo il crollo del 5% registrato ieri sera dalla lira turca sui mercati internazionali, proprio mentre arrivavano le prime notizie del tentato golpe, l’incertezza politica scatenata dal tentativo di colpo di Stato potrebbe da lunedì farsi sentire anche sui prezzi del petrolio. Il Bosforo e lo stretto dei Dardanelli sono infatti snodi chiave per il passaggio di circa 3 milioni di barili di greggio l’anno.