Fonte: Il Sole 24 Ore
Consumi, ma anche importazioni, in aumento. La fotografia del mercato dell’acciaio europeo nella prima parte dell’anno conferma la debolezza del settore siderurgico, il più esposto alla concorrenza (spesso sleale) dei mercati emergenti. Il problema della sovracapacità mondiale di acciaio sta provocando ampie distorsioni nel commercio internazionale: le siderurgie nazionali più aggressive entrano nei mercati più maturi, che corrono ai ripari. In pochi mesi la Commissione europea ha eretto un «fortino» a difesa della produzione siderurgica, minacciata dal dumping dei paesi terzi.
I dati più recenti confermano l’escalation. Sono una decina (vedi approfondimento in pagina) le indagini aperte nelle ultimi due anni, per le quali si attende una decisione definitiva. L’ultima in ordine di tempo, che rappresenta per certi versi un «salto di qualità» rispetto alla precedente politica antidumping comunitaria, riguarda il sospetto di pratiche antidumping da parte di Serbia, Ucraina, Russia, Brasile, Iran per i coils laminati a caldo.
Un tema che colpisce da vicino l’Italia che oggi, secondo i dati di Platts, è il quarto mercato mondiale in assoluto per i prodotti piani cinesi (dopo Corea del Sud, Vietnam e India). Il dossier dell’Unione europea è stato aperto il 7 luglio, e segue un’analoga indagine, del 13 maggio, nei confronti della Cina (un dossier simile era stato aperto il 13 febbraio, ma solo per alcuni specifici prodotti).
L’ultimo report di Eurofer, l’organizzazione che raggruppa le principali associazioni siderurgiche nazionali europee, segnala come le importazioni di acciaio nell’Unione europea continuino a crescere. Un aumento che segue un ritmo superiore al tasso di crescita del consumo apparente sul mercato interno. Nel primo quadrimestre sono aumentate del 24% anno su anno, con una divergenza tra i prodotti lunghi (+33%) e i piani (+11%). La Cina resta il principale esportatore, seguita da Russia, Ucraina, Corea del Sud e Turchia. Queste nazioni, insieme, rappresentano il 69% del totale importato in Europa nei primi cinque mesi dell’anno. Taiwan è la realtà che è più cresciuta rispetto al corrispondente periodo dell’anno scorso, con un incremento del 171%, seguita da Turchia (+63%), Iran (+46%), Corea del Sud (+41%) e Ucraina (+35%). Nonostante la presenza di dazi antidumping già in essere e investigazioni in corso, le importazioni hanno continuato ad assorbire il miglioramento della domanda interna nell’Unione. «Questo – argomenta Eurofer – rafforza la preoccupazione che le distorsioni derivanti dalle importazioni continueranno a schiacciare il comparto dell’acciaio in Europa».
In Italia, come segnala Federacciai, le importazioni dai paesi extra Ue sono cresciute nei primi cinque mesi del 10,6% (+34,3% dalla Cina). Un incremento che segue il +9,6% di fine 2015 (il 2014, a sua volta, si era chiuso con un incremento del 16,5% sull’anno precedente). La maggior parte degli acquisti riguarda i coils, che sono 1,554 milioni di tonnellate su un totale di 3,246 milioni importati. Su questo dato pesano le difficoltà di Ilva, il principale produttore di italiano di prodotti piani costretto a comprimere la sua produzione, e le conseguente scelte di acquisto di uno dei più grandi trasformatori europei, come il gruppo Marcegaglia. La maggiore parte dei coils viene acquistato oggi in Cina (443mila tonnellate a maggio, il 36,4 per cento in più rispetto al corrispondente periodo dell’anno scorso): è in corso però un’investigazione da parte della Commissione, che potrebbe quindi nelle prossime settimane porre dei dazi su questi prodotti.
L’Unione europea, come detto, sta studiando dazi anche per i coils importati da Serbia, Ucraina, Brasile, Iran e Russia. Questi ultimi due rappresentano, con un totale di 567mila tonnellate, gli altri principali importatori italiani di questo prodotto. Significativo anche il peso della Corea del Sud e della Turchia. L’incremento delle importazioni di piani in Italia è stato complessivamente del 10,5 per cento. In crescita anche gli acquisti di lunghi (+15,5%): crescono i laminati mercantili (+54,5 per cento, provenienti anche in questo caso dalla Cina), ma la quota maggiore è relativa alla vergella, anche se gli arrivi sono in calo del 6,3 per cento rispetto all’anno scorso.