Fonte: Il Sole 24 Ore
<L’ Innovazione non è un’opzione ma una scelta obbligata per tutti noi». E questo è un input che va inquadrato in un ragionamento più generale: «La politica che dobbiamo chiedere come Confindustria è una politica dei fattori, e non dei settori, orizzontale e che faccia il bene del Paese». Il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, parla davanti agli imprenditori di Anie, organizzazione del sistema Confindustriale cui aderiscono 1.200 aziende del settore elettrotecnico ed elettronico, in grado di generare 54 miliardi di euro di fatturato aggregato (ma che saliranno a oltre 90 miliardi fra un anno con l’ingresso in Anie degli imprenditori di Animp, associazione nazionale di impiantistica italiana) e 29 miliardi di esportazioni, cui se ne aggiungeranno altre 30 con i nuovi innesti.
Boccia interviene alla conclusione dell’Assemblea Pubblica e del discorso del presidente Anie, Claudio Gemme, che ha descritto i contorni di un settore il cui fatturato nel 2015 è cresciuto del 5,8%, «segnale positivo ma non sufficiente per colmare l’ampio divario rispetto ai livelli pre-crisi». Insomma, un andamento frutto di due spinte: tenuta delle vendite estere e prima inversione di tendenza nel mercato interno.
«La strada per il recupero è ancora in salita. Se non riparte il mercato interno con investimenti strutturali – precisa Gemme – resteremo sempre appesi a cifre percentuali non significative». E visto che l’Italia «è un Paese vecchio, obsoleto, che necessita di un grande piano di ammodernamento e di riqualificazione energetica e ambientale delle abitazioni, degli edifici pubblici, delle reti infrastrutturali energetiche e di trasporto».
Con questo clima di fondo si è svolta l’Assemblea annuale dell’Anie cui oltre al presidente di Confindustria ha presenziato anche il sottosegretario del ministero per lo Sviluppo, Ivan Scalfarotto. «La nostra intenzione – afferma Boccia – è quella di dare una credibile prospettiva al nostro sistema industriale per il prossimo futuro, che sappia valorizzare le nostre innumerevoli ricchezze, dalla tradizione artigiana alla flessibilità, dal made in Italy alla meccanica, dall’ingegneria al design puntando a fonderle con l’innovazione, con la ricerca e con le nuove tecnologie. Stiamo parlando di un vero “matrimonio” per avere un’industria innovativa, ossia capace di fare della qualità il suo faro, ma che sarà essenziale per rendere più efficiente, moderno e competitivo il Paese intero».
Certo, occorre anche tenere a mente quando si parla di innovazione che la Ue ha fissato al 3% il target per la spesa in Ricerca e Sviluppo da raggiungere entro il 2020. «Ma l’Italia – ha ricordato Boccia – è all’1.3%, sommando ricerca pubblica e privata. Siamo molto, troppo lontani». Per questo, «l’innovazione va sì stimolata, ma anche finanziata, soprattutto in presenza di fallimenti di mercato e laddove può offrire ritorni più significativi in termini di competitività del sistema-paese nel suo complesso».
Ineludibile però sarà anche un passaggio culturale e metodologico: «È necessario – spiega Boccia – creare un ponte, dei veri e propri innovation hub, poli fisici, gestiti in partnership pubblico-privata, all’interno dei quali le imprese potranno contaminarsi con il mondo della ricerca, ma anche dando vita a veri e propri progetti di investimento».