Fonte: Il Sole 24 Ore
«Osserva qui». «Inquadro meglio la valvola». Immagini e voci arrivano sullo schermo del quartier generale di Ge Oil & Gas, a Firenze, da migliaia di chilometri di distanza, dalle piattaforme per l’estrazione del petrolio in mezzo al deserto subsahariano così come dai giacimenti di gas naturale nelle isole australiane. A trasmetterle è un elmetto-intelligente indossato dagli ingegneri che, armati anche di tablet, “accudiscono” il funzionamento di turbine e compressori prodotti dalla multinazionale leader nell’industria estrattiva mondiale.
Lo smart helmet, come lo chiamano qui, è dotato di telecamera, microfono e monitor e va indossato con una sorta di Google glass, occhiali tecnologici sviluppati da Ge con la Scuola superiore Sant’Anna di Pisa (gli unici dotati di certificazione Atex), che permettono di leggere le informazioni in arrivo dal quartier generale. Bastano un collegamento satellitare wi-fi e un sistema bluetooth e la piattaforma tecnologica messa a punto da Ge può funzionare.
L’ingegnere lontano migliaia di chilometri dialoga in tempo reale con i colleghi di Firenze per cercare soluzione a problemi di funzionamento dell’impianto irrisolvibili in autonomia, e lo fa scambiando immagini e valutazioni direttamente dal cantiere: inquadra, trasmette foto e video, riceve istruzioni, si confronta, senza necessità di dover raccogliere dati da trascrivere e trasmettere una volta raggiunto l’ufficio. Così i tempi si riducono e, grazie al dialogo diretto, la manutenzione diventa più efficace. «È un risultato importante anche solo riuscire a identificare la persona che può risolvere il problema all’impianto», spiegano da Ge. Anche perché il danno economico fa presto a salire: un giorno di mancata produzione per un impianto di gas naturale liquefatto, per esempio, può significare la perdita di 2,5 milioni di dollari.
Per adesso lo smart helmet ce l’hanno in 15, ma l’obiettivo di Ge è arrivare a fornirlo ad almeno 100 ingegneri entro il prossimo anno. Il servizio di manutenzione rapida e efficace, del resto, è il faro che guida il business dell’oil & gas. Un servizio al quale sta dando impulso la realtà aumentata o, meglio, tridimensionale, utilizzata sempre più spesso per formare i mille ingegneri Ge destinati a installare e manutenere gli impianti di estrazione.
Sono quelli che vengono formati alla Technical training academy di Firenze dove, oltre all’officina per lavorare “dal vivo”, funziona – sempre più – una sala di realtà aumentata che riproduce in 3D la vera officina con macchine e ingombri. E permette, indossando gli occhialini tridimensionali, di vedere “in trasparenza” dentro le macchine, di capire cosa non va e come ripararlo, di osservare punti e visuali che sarebbe impossibile raggiungere nella realtà. Un training 3D che apre nuove strade (tra cui quella di fare corsi di formazione a distanza, magari inviando solo l’istruttore) e che riduce i tempi d’intervento: la stessa operazione che prima si faceva in diversi giorni, spiegano all’Academy, ora si fa in un giorno in modo sicuro e veloce.
Il tempo, del resto, resta la variabile strategica per il business dell’oil & gas. Lo è prima di tutto per costruire turbine e pezzi di ricambio. E anche qui viene in aiuto l’industria 4.0. Prima di tutto con la progettazione tridimensionale delle turbomacchine – avviata da qualche mese a Firenze – che permette di simulare le sequenze di lavorazione e montaggio, la movimentazione, le interferenze. E poi con la costruzione di parti delle turbine attraverso le stampanti 3D. «L’additive manufacturing sta cambiando il paradigma della produzione», spiega Massimiliano Cecconi, responsabile Materiali e tecnologie di produzione per il business Turbomachinery Solutions di Ge Oil & Gas. «Siamo la prima azienda di oil & gas che ha avviato la produzione di parti di turbine a gas con le stampanti 3D», aggiunge.
A Firenze, nel laboratorio di Additive manufacturing diretto da Cecconi, per adesso di stampanti 3D ce ne sono tre, con le quali sono stati costruiti prototipi di bruciatori pronti per andare in produzione nello stabilimento hi-tech di Talamona, vicino Sondrio. Mesi di ricerca e sviluppo sono serviti a mettere a punto la composizione della polvere metallica e la potenza del laser della stampante 3D che solidifica con una densità relativa superiore al 99%, resistente alle alte temperature raggiunte da una turbina. Il risultato è un solo pezzo (al posto dei sei prodotti con la microfusione e poi da assemblare), costruito in due settimane anziché in quattro-cinque mesi, di migliore qualità. Il futuro è in questa direzione, qui ne sono convinti. Anche perché con le stampanti 3D si potranno produrre parti di ricambio di macchine datate. Al punto che – sarà il passo futuro – si sta pensando di installare stampanti 3D vicino agli impianti di estrazione, così da garantire un servizio just in time in ogni parte del mondo.